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IMPROCEDIBILITA’, IMPROPONIBILITA’ … MEDIABILITA’

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                                        Riusciremo mai a guardare la trave nel nostro occhio?

 

a cura di: Responsabile Scientifico ADR Europa, Dott. Ornella AMEDEO

Formatore teorico – pratico ADR Europa, Avv. Caterina TOSATTI

 

Le Sezioni Unite della Cassazione, con due sentenze del 28 aprile 2020, la n. 8240 e la n. 8241, sono state chiamate a rispondere ai seguenti quesiti:

·        nella materia delle telecomunicazioni, il tentativo di conciliazione è obbligatorio anche prima del ricorso per Decreto ingiuntivo (D.I.)?

·        se è obbligatorio, ometterlo comporta l’improcedibilità o l’improponibilità della domanda – cioè del ricorso per D.I.?

 

Il diverso quesito circa la parte onerata della proposizione del tentativo è stato rimesso alle Sezioni Unite con ordinanza n. 18741 del 2019, la quale ad oggi non risulta sia pervenuta a sentenza.

 

E’ evidente che, nonostante le pronunce traggano origine da una controversia inerente le telecomunicazioni, l’impatto si riversa sull’intero panorama delle vicende soggette al tentativo obbligatorio di Mediazione previsto dall’art. 5 del D. lgs. 28/2010 s.m.i.

 

L E   D E C I S I O N I


Con la sentenza n. 8240/2020, la Corte estrapola il principio di diritto partendo da un’ordinanza di rimessione relativa ad un’opposizione a D.I. promossa da una società avverso il D.I. ottenuto da un noto gestore di telefonia e telecomunicazioni; sia in I° che in Appello, i Giudici avevano ritenuto IMPROCEDIBILE IL RICORSO PER D.I. perché il noto gestore non aveva preventivamente esperito la conciliazione obbligatoria prevista dalla normativa di settore[1].

 

La Corte, invece, sostiene che ciò non corrisponda a quanto previsto, né alla ratio delle norme in commento, perché, da un lato, una delle norme applicabili (segnatamente, il 2° Regolamento AGCOM, Delibera 173/2007), lo escludeva espressamente, similmente a quanto fatto dall’art. 5, comma 4° del D. lgs. 28/2010, dall’altro, <<la logica che impone alle parti di incontrarsi, in una sede stragiudiziale, prima di adire il giudizio, è strutturalmente collegata ad un (futuro) processo destinato a svolgersi sin dall’inizio in contraddittorio tra le parti>>, così che, proseguono le Sezioni Unite, <<non avrebbe senso imporre nella fase pregiurisdizionale un contatto tra le parti che invece non è richiesto nella fase giurisdizionale ai fini della pronuncia del provvedimento monitorio [D.I.].>>.

 

Avendo così risposto al 1° ed al 2° quesito, la Corte rinvia, per il 3° (obbligato a proporre la Mediazione) alla sentenza n. 8241/2020.

 

Questa pronuncia esamina il diverso caso di un consumatore che denunciava la vessatorietà della clausola di recesso anticipato prevista a favore del medesimo noto gestore nel contratto di somministrazione del servizio telefonico; qui è il gestore ad eccepire il mancato preventivo tentativo di conciliazione da parte dell’utente e la sua domanda viene accolta in Appello, generando poi il ricorso per cassazione.

 

Le Sezioni Unite risolvono la questione dell’obbligatorietà, in questo caso specifico, del tentativo, facendo ricorso al succedersi della normativa in materia ed in particolare rilevando che, nel momento in cui il tentativo avrebbe dovuto essere esperito, per una serie di eventi pratici (mancata ‘operatività’ del Co.re.com competente, mancanza dell’obbligo), di fatto non si può affermare che l’obbligo fosse operante.

 

Ma la vera questione, che la Corte affronta unicamente per dettare una linea – guida in punto di diritto, è se il tentativo di conciliazione nelle telecomunicazioni sia previsto a condizione di PROCEDIBILITA’ o PROPONIBILITA’ – quindi, sostanzialmente, se il mancato tentativo conduca all’improcedibilità della domanda o alla sua improponibilità.

 

Fortunatamente, la Corte ‘rompe il ghiaccio’ affermando che i termini “improcedibilità” e “improponibilità” non si rinvengono, con puntuale definizione ed ambito di applicazione connesso, nei testi normativi – peraltro, l’improponibilità non è nemmeno prevista dal Codice di procedura civile, mentre l’improcedibilità a volte ‘fa capolino’.

 

Ecco allora che occorre usare il buon senso e interpretare con coerenza sistematica per capire che:

·        con <<improcedibilità>> si deve intendere un <<arresto momentaneo del giudizio, rilevabile dalle parti e anche dal giudice ma non oltre la prima udienza>>, con rinvio della stessa ad udienza successiva ed invito alle parti a ‘sanare’;

·        con <<improponibilità>> dobbiamo invece indicare <<un vizio insanabile, rilevabile in ogni stato e grado del processo, tale da costituire una soluzione drastica, in considerazione degli interessi sostanziali in gioco>>.

 

Ciò premesso, sostiene la Corte, nell’ambito delle ADR e del loro rapporto con il processo (quindi, si ritiene, non solo nel contesto della conciliazione delle telecomunicazioni o del consumatore, ma anche per la Mediazione e la Negoziazione Assistita, che è anch’essa prevista a pena di improcedibilità), dobbiamo applicare la categoria della IMPROCEDIBILITA’ come sopra spiegata – cioè, come uno stop&go all’interno del processo.

 

Queste le parole dei Giudici delle Sezioni Unite: <<la configurazione del tentativo di conciliazione come condizione di procedibilità costituisce un’opzione privilegiata perché consente di contemperare le finalità deflattive perseguite mediante la procedura di conciliazione con i principi costituzionali posti a presidio del diritto di difesa e della ragionevolezza stessa della previsione.>>.

 

P E R C H E ’   E’   I N T E R E S S A N T E



Delle pronunce in commento, ci hanno colpito due passaggi.

 

Il primo: <<la logica che impone alle parti di incontrarsi, in una sede stragiudiziale, prima di adire il giudizio, è strutturalmente collegata ad un (futuro) processo>>, dove il Relatore utilizza questa affermazione per spiegare che la Mediazione male si attaglia al procedimento inaudita altera parte o in assenza del contraddittorio, quale è il ricorso per D.I.

 

Ci permettiamo di rilevare che, sebbene ciò possa essere vero nella costruzione e nella logica del diritto processuale, unico ambito sul quale la Corte si pronuncia, non è così per il differente ambito delle ADR o, come preferiamo chiamarle noi, APR (Alternative Problem Resolutions).

 

Il problema del creditore – che egli deve risolvere – è che il debitore non lo paga; sarebbe arrogante pensare che l’unica via per risolvere, in modo veloce ed efficace, il suo problema, sia ottenere una condanna al pagamento nei confronti del debitore (il Decreto ingiuntivo). Anche l’esecuzione della condanna è un problema a parte e di per sé …

 

Secondo passaggio: <<decreto ingiuntivo e procedura di mediazione rispondono entrambi, sebbene siano strumenti del tutto diversi, all’esigenza di dare una celere ed efficace risposta di giustizia.>>

 

Ci permettiamo di dissentire: la giustizia, come abbiamo detto molte volte in questa sede e durante i corsi, è una diversa A.D.R., nel senso di “A Domanda Rispondo”, che non è solamente la formula rituale usata per l’escussione dei testi, ma anche il senso filosofico della giurisdizione come terzo potere statuale. Noi rivolgiamo al Giudice non una domanda di ‘giustizia’, in senso etico o metafisico, bensì gli chiediamo di rispondere alla nostra domanda, ovvero di dire se la norma di legge è o non è applicabile al caso e, se sì, come ed egli si limita a rispondere a tale domanda, nei limiti, da un lato, del divieto del non liquet e, all’opposto, del vizio di ultrapetizione. In un contesto dove qualcuno, inesorabilmente, avrà ragione e qualcun altro torto.

 

La mediazione è al punto opposto: non risponde all’esigenza di giustizia, nemmeno allo scopo deflattivo – la deflazione del contenzioso è lo scopo del Legislatore, ma non è lo scopo della mediazione.

 

E siamo arrivati al punto: la mediazione è uno strumento. Possiamo continuare a dibattere e tentare di ingabbiarla nelle strette maglie delle regole processuali, ma si tratta di tentativi sterili e dall’esito scontato; sarebbe come voler contenere l’oceano in una mano.

 

Ciò che invece dovremmo imparare a fare è utilizzare la mediazione per quella che è: uno strumento.

 

E quando pensiamo che non sia uno strumento utile al nostro scopo, avere il coraggio di scegliere la via del giudizio.

 

Ma quando invece riteniamo che la Mediazione sia lo strumento che fa al caso nostro, dobbiamo investire su di essa, con sforzi che saranno ripagati: dopotutto, non ci avrà forse risolto il problema?

 

 


[1] Si fa riferimento alla Legge 31 luglio 1997, n. 247, istitutiva dell’Autorità Garante delle Comunicazioni (AGCOM) ed alla Delibera AGCOM 182/2002 (Regolamento sulle procedure alternative al giudizio) e Delibera AGCOM 173/2007 (2° Regolamento sulle procedure alternative al giudizio).