LITE TEMERARIA, CHI ERA COSTEI?
Il rapporto tra la mancata partecipazione alla Mediazione e la responsabilità processuale aggravata in una pronuncia coraggiosa e illuminante
a cura di: Responsabile Scientifico ADR Europa, Dott. Ornella AMEDEO
Formatore teorico – pratico ADR Europa, Avv. Caterina TOSATTI
Il Tribunale di Velletri, con la sentenza emessa il 07 gennaio 2020, che qui analizzeremo, coglie l’occasione per portare ad un altro livello il dibattito in materia di responsabilità processuale per c.d. lite temeraria, ovvero quando facciamo causa o ci opponiamo ad una causa promossa contro di noi sapendo di avere torto.
Raramente è dato leggere sentenze che gettano una luce nuova su istituti praticati dal nostro diritto sin dal secolo scorso e dei quali si pensava di conoscere tutto.
C O S A E ’ S U C C E S S O
Una società ha chiamato in giudizio la banca con la quale aveva un rapporto di conto corrente per chiedere la restituzione dei c.d. ‘interessi usurai’, per una somma di oltre 7.000,00 Euro, posto che, per varie modifiche contrattuali e condizioni applicate al contratto di conto, la banca era arrivata, nella tesi della società, a percepire interessi ben al di sopra di quanto fissato dalla legge.
La società chiede inoltre la condanna della banca al risarcimento del danno da responsabilità ex art. 96 c.p.c., posto che l’istituto di credito non partecipò alla Mediazione promossa dalla società e fece ciò senza un giustificato motivo.
LA DECISIONE
Il Tribunale ha accolto la domanda della società, condannando la banca sia a restituire le somme percepite sia a corrispondere la somma di Euro 20.000,00 a titolo di risarcimento del danno da lite temeraria.
Il Giudice ha ritenuto che gli interessi applicati fossero usurai, anche a fronte della CTU (consulenza tecnica d’ufficio) che ha accertato il superamento della soglia legale.
A fronte di ciò, siccome la banca era in torto e, nonostante questo, non ha presenziato alla Mediazione ed ha resistito in giudizio, dove si è difesa chiedendo il rigetto della domanda della società, il Giudice ha ritenuto integrati gli elementi della responsabilità aggravata per lite temeraria ed ha anche liquidato il risarcimento del danno derivante da essa.
PERCHE’ E’ INTERESSANTE
Dobbiamo spiegare – o rammentare – al lettore che l’art. 96 c.p.c. prevede che:
<<Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave,
il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese,
al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza. >>
Questo significa che chi attiva un giudizio oppure vi viene chiamato deve comportarsi secondo buona fede: in particolare, non si dovrebbe attivare o resistere in un giudizio sapendo di avere torto o, detto in altro modo, non essendo certi di avere ragione.
Nel nostro caso, il Giudice ritiene che la banca si sia comportata con colpa grave, perchè la società aveva prodotto copiosa documentazione a sostegno della sua domanda, mentre la banca si è limitata a dire che la domanda era nulla per incertezza dell’oggetto della stessa; ancora, la CTU ha dimostrato la presenza di usura nei tassi applicati, mentre la banca non ha fornito alcun riscontro probatorio, cioè nessuna prova contraria.
Da questo, il Giudice conclude affermando che il danno derivato alla società consiste nell’aver dovuto attivare un giudizio, con ulteriore aggravio di spese legali e dispendio di tempo, quando la banca, partecipando alla Mediazione, avrebbe potuto concludere tutto prima e senza spreco di tempo e denaro.
Ma cos’è che distingue questa pronuncia da altre in materia di mancata partecipazione alla Mediazione e lite temeraria?
Il Giudice, nell’esaminare il risarcimento del danno, cita la giurisprudenza costante che ha sempre affermato come la responsabilità da lite temeraria sia una specie del genere della generale responsabilità da fatto illecito, di cui all’art. 2043 c.c.
Da questo si è sempre fatto discendere la necessità, da parte di colui che afferma la lite temeraria – nel nostro caso, la società – di PROVARE IL DANNO ed anche IL SUO AMMONTARE. E il giudice non può liquidare il danno, neppure equitativamente, se dagli atti non risultino elementi atti ad identificarne concretamente l'esistenza.
Premesso che, nel caso concreto, la società ha fornito piena prova della temerarietà della lite, poiché ha provato di avere ragione, il Giudice afferma che il suddetto orientamento non può più essere condiviso e che, anzi, la giurisprudenza dovrebbe INCORAGGIARE L’UTILIZZO E L’APPLICAZIONE DELL’ART. 96 C.P.C., perchè, in un’ottica di interpretazione costituzionale del processo, essa servirebbe quale garanzia della RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO, dato che scoraggerebbe le persone dal proporre cause infondate e pretestuose.
Dopo aver richiamato la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), in materia di irragionevole durata del processo e danno in re ipsa, cioè un danno che non va provato perchè deriva automaticamente dall’eccessiva durata dei procedimenti, il Giudice afferma che nel caso di specie la resistenza al giudizio da parte della banca contro la società nonostante l'evidente ipotesi di saldo a credito emerso dalla CTU e l'essere stata costretta la società ad incardinare l'odierno procedimento per colpa grave della banca, va ad integrare quella lesione di interessi costituzionalmente garantiti quale quello previsto dall'Art. 42 della Costituzione, laddove si sancisce che l’iniziativa economica non può essere limitata se non dalla legge e, conseguentemente, non può essere ‘limitata’ da ingiustificate azioni legali o di resistenza in giudizio.